In Italia evade chi può:
dall’evasione di necessità
a quella delle grandi somme
E il recupero è
pressoché irrilevante
Le cause principali sono:
il pessimo servizio dello Stato,
tassazione elevata e avidità
La tassazione è lo stipendio
dello Stato per i suoi doveri
L’evasione è illegalità ed è un vivere
con gli altri protagonisti dell’illegalità
Si diventa invisi al popolo,
perché non si restituisce un po’
di quanto avuto dal popolo
La dissipazione.
In questa settimana è stata pubblicata una relazione del sostituto
procuratore di Pistoia Fabio Di Vizio sulla nascosta e tuttavia diffusa
evasione fiscale, e sue ramificazioni, in Italia. 50 pagine di ostica
lettura, perché piene di dati, statistiche e “parole arcane”, che
soltanto gli addetti ai lavori riescono a comprendere appieno e ad
assimilare.
Però, siccome “i fatti sono più importanti dei lord”,
come recita un preverbio inglese, la situazione italiana è la seguente:
nel 2014 sono stati sottratti al fisco 111 miliardi; e nei due anni
precedenti l’evasione è stata sempre superiore ai 100 miliardi; e i
conti al centesimo del 2015 dicono che si starà intorno a 109 miliardi
evasi.
Il recupero è pressoché irrilevante.
Una così vasta
evasione dice che in Italia “evade chi può”. Poco tempo fa fu scoperta
“l’evasione di necessità”, cioè quella degli artigiani: meccanico,
idraulico, falegname, muratore, ortolano. Evasione che, a rigor di
logica, nemmeno dovrebbe definirsi tale, perché, in sé, è l’incasso
della giornata, più o meni per pane e companatico. Si dirà: ma tante
piccole evasioni, mettono insieme una cifra consistente. Comunque,
spiccioli dei 111 miliardi ultimi.
Le cause principali dell’evasione
sono: la tassazione è molto elevata, arriva fin oltre il 60%; ciascuno
vuol tenere per sé quanto più soldi possibili, suoi, e spesso altrui:
l’avidità; il pessimo servizio che lo Stato offre ai suoi cittadini con i
soldi delle tasse: scuola, sanità, viabilità, tutela del patrimonio
artistico e ambientale, farragine e lentezza burocratica, e soprattutto
il penoso spettacolo che la politica dà di sé. In una parola lo Stato
non merita di essere pagato.
L’evasione, dunque, è coeva all’uomo: i poveri non possono pagare, i ricchi creano le condizioni per non pagare.
Però la regola di ogni comunità è che ciascuno, in proporzione alle sue
ricchezze, partecipi alla funzionalità e al benessere della comunità
stessa. E l’osservanza di questa regola è il primo dei compiti dello
Stato, perché crea i presupposti per la realizzazione di tutti gli altri
compiti. Nella realtà la tassazione è lo stipendio, o il salario, dello
Stato per adempiere ai suoi doveri. L’evasione, quindi, equivale a, si
direbbe al Sud, a voler “far le nozze con i fichi secchi”: senza o con
pochi soldi, o si fa poco e male o nulla, oppure ci si indebita: gli
odierni 2.300 miliardi di debito pubblico.
Evadere quindi, per il
cittadino, ricco o povero che sia, è autolesionismo patologico. Per i
poveri, per chi, cioè, potrebbe pagare un po’ di spiccioli, significa
accontentarsi del pessimo servizio dello Stato: mangiare per quel che
s’è pagato. Per i ricchi, però, significa pagarsi in proprio ma altrove,
i servizi che lo Stato renderebbe bene se avesse le risorse, cioè i
soldi dei cittadini in proporzione ai loro redditi.
I ricchi,
quindi, ciò che non danno allo Stato lo danno a privati. La qual cosa
significa avere lo stesso servizio, scuola, sanità, sicurezza, a prezzo
superiore a quello “naturale”, quello che si avrebbe da uno Stato
efficiente, sia perché qualche spicciolo lo danno comunque allo Stato,
sia perché il privato è null’altro che una sovrastruttura, ad un tempo
castale e parassitaria. Per dare in un’immagine questo concetto si può
dire: nessun palazzo è tale in una foresta paludosa e fetida.
L’evasione, inoltre, poiché è illegalità, è un vivere ai margini della
comunità, in quello spazio occupato anche da altri protagonisti
dell’illegalità: corruzione, malavita organizzata ed evasori più
spregiudicati.
E “last but not least” (ultimo ma non meno
importante) si diventa invisi al popolo, perché non si restituisce al
popolo la quota dovuta di ciò che dal popolo stesso si è avuto.
Infine si pensi a come potrebbe essere lo Stato italiano se i soldi
dell’illegalità facessero parte della comunità: 111 d’evasione, 60 e più
di corruzione, 137 di malavita organizzata, oltre 300 miliardi annui.
S’avrebbe perfino una classe politica all’altezza del suo compito: gli
onesti, infatti, scelgono gli onesti, che sono anche in grado di
svolgere il ruolo a cui si candidano o a cui vengono chiamati.
L’evasione, dunque, è dissipazione delle risorse proprie e collettive, vivere fra pessimi servizi a costi esosi.